La musica è un’arte meravigliosa in virtù della quale perfino i più assuefatti professionisti provano ad ogni età nuove emozioni, motivi di stupore e ragioni d’apprendere.
Immateriale o quasi, quest’arte è tuttavia più diretta e penetra in noi più profondamente delle altre. Ma nessuna teoria ha potuto ancora dimostrare come e perché.
La scienza cerca di misurare fenomeni di piccolissime proporzioni con strumenti che l’udito sovente supera in sensibilità se non in esattezza, rendendo quindi necessario, quasi sempre, il controllo autidivo. La fisiologia e la fisica sono incapaci di spiegare alcune particolarità dell’ascolto; nessuno scienziato è mai riuscito a dimostrare i rapporti di causa ed effetto che provocano l’emozione musicale ed i filosofi hanno invano cercato nella natura segreta del Bello i fondamenti essenziali della sua legittimità. Non si “capisce” la musica come si capisce l’inglese: nessuno la comprende in questo modo. Tutt’al più si capiscono le leggi dell’acustica, dell’armonia, del contrappunto, ecc. o più esattamente, si imparano. Ma tutto ciò non è la musica; la musica è fra le note. Per questo è così difficile darne una definizione adeguata.
I più grandi ingegni lo hanno tentato senza riuscirvi:
La musica è la scienza dell’ordine in ogni cosa (I Pitagorici)
La musica è un esercizio di aritmetica segreta e colui che vi si dedica ignora di servirsi dei numeri (Leibniz)
La musica rappresenta il linguaggio degli affetti, la lingua universale della sensazione, comprensibile ad ogni uomo (Kant)
Nessuna arte potrebbe fondere in modo così misterioso qualità come l’intima profondità, l’energia fisica e l’oscura fantasia (Wackenroder)
La musica reca in sé un messaggio profetico che rivela una forma di vita elevata verso cui l’umanità si volge (Schonberg)
E’ sorprendente che nessuno si sia stancato di cercare una definizione impossibile. Mi stupisce anche l’importanza che il profano annette in musica al fatto di “intendersene”. Ma di cosa si vuole avere competenza esattamente? Si tratta di acquisire un vocabolario da conversazione o una conoscenza della tecnica e della storia musicale?
“Intendersene” può assomigliare a tutto ciò, ma “intendere”, capire, la musica è tutt’altra cosa. E poiché è dimostrato che non la si può capire, intendere la musica significa amarla, amarla a forza d’ascoltarla se non si ha la forza di praticarla. E cosa meglio di un impianto Hi-Fi può restituircela in tutta la sua naturale ed originale bellezza? Ecco quindi da dove scaturisce l’entusiasmo per l’alta fedeltà. L’atteggiamento passivo di chi si abbandona alla vaga produzione d’immagini suggestive dei suoni, non è l’atteggiamento del buon ascoltatore di musica ma quello piuttosto del “consumatore”, che la musica subisce come una specie di sortilegio, senza nessun contributo attivo del suo spirito.
Le possibilità aperte all’ascolto musicale dall’alta fedeltà e la sua diffusione potranno aiutare ad avvicinare l’ascoltatore al fatto musicale con una operazione attiva dell’intelligenza e della memoria, attentissime, quella a cogliere e questa a ricordare, tutti i nessi ed i rapporti che legano nel tempo le labili apparizioni sonore.
Occorre insistere su questo elemento di collaborazione attiva che si richiede all’ascoltatore (possibile altresì solo se la qualità di riproduzione sonora è paragonabile a quella reale) e che implica necessariamente una tensione mentale e quindi anche una fatica, perché è opinione antica e diffusa che la musica sia invece un godimento passivo, una distensione ed un abbandono alla fantasticheria irresponsabile.
“Che mi solea quetar tutte mie voglie ” dice Dante dell’amoroso canto di Casella
“Chi ha orecchi da intendere, intenda” (Luca 8,8)
Brano Tratto da: Francesco Bianchi, Il manuale dell’Hi-Fi, 1980, Lato Side 32